“Vieni qui, frate lupo”
Qualche numero al 31 marzo 2024
Elaborazione da
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio del Capo del
Dipartimento - Sezione Statistica
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In Italia (31
marzo 2024), nei 189 istituti di pena (= carcere varie tipologie), ci
sono 61.049 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 51.178.
Gli stranieri sono 19.108 (31,30%), le donne 2.619 (4,29 %). Totale
detenuti italiani: 41.941. Detenuti in semilibertà[1] (1.304
di cui stranieri 270). Detenuti con condanna definitiva (44.984)
· Esecuzione di una pena fuori dal carcere. Ai detenuti ristretti in carcere (61.049) vanno aggiunti i soggetti che stanno scontando una pena, ma non in carcere. Sono in carico all’ UEPE (Ufficio esecuzione penale esterna): misure alternative alla detenzione (affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà), sanzioni sostitutive (semidetenzione, libertà controllata), misure di sicurezza (libertà vigilata), sanzioni di comunità (lavori di pubblica utilità per reati stupefacenti o codice della strada), misure di comunità (messa alla prova): 88.163 di cui 1.025 donne (statistiche provvisorie del 15 marzo 2024 sui primi sei mesi 2022). Su altri 48.890 di cui 5.436 donne, alla stessa data, sono in corso indagini e consulenze (totale stessa data 137.053). Anche questi sono sotto l’autorità del Magistrato di sorveglianza. Quindi totale soggetti in esecuzione penale dentro e fuori dal carcere (61.049 + 137.053 = 198.102).
Detenuti presenti per istituto (31 mar 2024)
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Sono detenuti in 189 istituti di pena sparsi su
tutta la penisola. La regione con maggiori istituti di pena è la Sicilia (23,
con 6.859 detenuti di cui stranieri 995 = 14,51%). La regione con più detenuti
è la Lombardia (8.854 di cui stranieri 4.041 = 45,64%). Nel Veneto ce ne sono
9, con 2.617 detenuti di cui 1.324 stranieri (=50,59%): le donne detenute in Veneto sono 126.
Nella Casa Circondariale di Vicenza ci sono 357 detenuti di cui 144 stranieri:
40,34%. Gli italiani sono 213.
o Casa circondariale in cui sono detenute le
persone in attesa di giudizio o quelle condannate a pene inferiori ai cinque
anni (o con un residuo di pena inferiore ai cinque anni)
o Casa di reclusione che è l'istituto
adibito all’espiazione delle pene di maggiore entità
o Istituto penale per i
minorenni (IPM) adibito alla detenzione dei minori
e giovani adulti (oltre i 14 anni)
o Istituto per l'esecuzione
delle misure di sicurezza detentive che può essere:
- Colonia agricola
- Casa di lavoro
- Casa di cura e custodia
- Ospedale psichiatrico giudiziario (OPG) sostituito dalle strutture di cui al c2 art. 3-ter d.l. 211/2011 convertito dalla l. 9/2012
o Istituti a custodia attenuata
per detenute madri (ICAM)
o
Istituti a custodia attenuata
per il trattamento dei tossicodipendenti (ICATT)
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In alcuni istituti di pena – esempio la Casa
Circondariale di Pisa - ci possono essere delle sezioni sanitarie
dedicate alla cura dei detenuti (SAI – Servizio Assistenza Intensiva (ex CDT:
centro diagnostico e terapeutico) o sezioni di alta sicurezza.
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Regione di
nascita detenuti (31.13.2023: 60.166): Campania (9.899 16,45 %); 7.800
Sicilia; 5.322 Puglia; 3.925 Calabria; 690 Veneto (1,15 %).
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Le donne in carcere: sono 2.619 (4,29 %). Le detenute
madri con figli al seguito sono 16 con 18 figli.
· Posizione giuridica. I detenuti in carcere appartengono varie posizioni giuridiche: in attesa del primo giudizio (non sono ancora condannati); condannati; appellanti (Corte di Appello), condannati ricorrenti (con ricorso in Corte di Cassazione), condannati definitivi. Secondo la Costituzione(Art. 27), “l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
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Paesi di
provenienza detenuti stranieri (dati al 31 marzo 2024): Marocco (4.033 di
cui donne 47; 21 % det. stranieri), Romania (2.157 di cui 188 donne; 11,3% det.
stranieri), Albania (1.986 di cui donne 22; det. stranieri 10,4%), Tunisia (1.968
di cui donne 12; 10,3 % det. stranieri), Nigeria (1.162 di cui donne 93; 6,1%
det. stranieri).
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Detenuti per posizione giuridica (31 marzo
2024).
o In attesa
del primo giudizio: 9.461 (15,5%)
o I detenuti non
definitivi: 6.265 (10,26 %)
o Totale
detenuti ristretti con sentenza definitiva sono 44.984 (73.69 %).
o Internati[2]: 319.
Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi della
Giustizia Minorile: 13.967 di cui femmine 1.206. Tipologia dovresti: delitti contro la persona:
14.333 di cui omicidi 93; delitti contro il patrimonio: 18.607 di cui furti
7.097;
Istituti
penali per minorenni (IPM) da 14 a 24 anni (15 marzo 2024)
In 17 istituti sono presenti 523 minori di cui femmine
19 (con presenza media giornaliera di 519,1). IPM con maggiori presenze: Milano
63. A Treviso ce ne sono 16.
Istruzione in carcere
La costruzione di
percorsi di crescita culturale e professionale durante il periodo della
detenzione rappresenta un fondamentale strumento di promozione della
personalità del condannato nell’ottica del reinserimento sociale.
Negli
Istituti penitenziari sono organizzati corsi d’istruzione scolastica e di
formazione professionale e sono agevolati gli studi universitari (art. 19 l.
354/1975 e art.44 d.p.r.30 giugno 2000, n. 230).
Detenuti per titolo di studio (2005 – 2023) 31
dicembre 2023
Detenuti presenti al 31 dicembre
distinti per titolo di studio |
Lavoro: la legge di
bilancio 2022: maggiori risorse stanziate per il pagamento delle “mercedi” ai
detenuti lavoranti pari a 3.000.000 di euro annui a regime (= 250,00
euro al mese)
Detenuti
lavoranti per l’Amministrazione penitenziaria (AP) (dati al 30
giugno 2023): 16.305; Lombardia (top 2.042)
Detenuti
lavoranti non per AP (30
giugno 2023): 2.848; Lombardia (top 727); Veneto (393)
Quota
mantenimento detenuto
(circolare DAP 2015): 3,62 € die (vitto e corredo); mese = 108,60 €
(questa quota viene trattenuta da AP se il detenuto lavora percependo una “mercede”.
Costo
generale AP (tutte le voci di spesa). Quanto spende l’AP per detenuto su dati
del 31 marzo 2024
(cfr stanziamento legge bilancio 2024 DAP: 3.348.626.567 €):
costo all'anno: € 54.851,46; costo al mese: € 4.508,34; costo al giorno: € 150,28
Costo Mantenimento, assistenza, rieducazione e trasporto per detenuto (9,14%): ogni giorno per tutti (61.049 ) i detenuti si spende 838.742,07
Anno € 5.014,67
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Mese € 417,89
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Giorno € 13,93 |
Informatica
di servizio: 0,02%
della spesa di bilancio 2024: 572.338.
Personale Polizia Penitenziaria (dirigenti e non dirigenti: 1 marzo
2024 43.135
Tipologia
di reato. Situazione al 31 dicembre 2023 (alcune tipologie)
SUICIDI IN
CARCERE:
nel 2023 sono stati 69: nel 2022 84, l’anno più nero in assoluto. Dall’inizio
del 2024 i suicidi sono già 23.
Costituzione Italiana - Articolo 27
La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4]. Non è ammessa la pena di morte.
STATI
GENERALI SULL’ESECUZIONE PENALE
Documento finale (aprile 2016)
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È socialmente ottusa, oltreché costituzionalmente
inaccettabile, l’idea che il carcere sia una sorta di buio caveau, in
cui gettare e richiudere monete che non hanno più corso legale nella società
sana e produttiva.
·
È miope la convinzione che la vittima del reato
riceva tanto più rispetto e risarcimento morale, quanto più ciecamente
afflittiva sia la pena per il suo sopraffattore.
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È importante promuovere un’assunzione di
responsabilità del colpevole che lo sospinga a condotte materialmente e
psicologicamente riparatorie nei confronti di chi il torto ha subito.
·
È socialmente proficuo (sia in termini economici,
che di minor recidiva), ricorrere non appena possibile alle misure di comunità
per riavvicinare l’autore del reato ad una dimensione di operosa normalità,
propiziando in tal modo una progressiva ritessitura dei suoi legami relazionali.
Dovrebbe essere chiaro, quindi, che non vi è alcun afflato
di deamicisiano buonismo dietro questo ripudio della “concezione tolemaica” del
carcere, bensì una lungimirante e razionale rimeditazione sulla funzione e
sulla funzionalità delle risposte sanzionatorie. Si intende non solo riportare
l’esecuzione penale entro una cornice di legalità costituzionale e
sovranazionale, ma anche sostituire ogniqualvolta sia possibile, al muro di un
carcere - che depaupera la collettività della parte di sé che ne resta al di
là, senza preservarla da nuovi fatti traumatici - la proposta di un difficile e
laborioso cammino di rientro per chi, allontanatosi con la sua condotta dalla
comunità, voglia e sappia intraprenderlo.
La società che
offre un’opportunità ed una speranza alle persone che ha giustamente
condannato si dà un’opportunità ed una speranza di diventare migliore.
FINE PENA: ORA
«Il carcere è per castigare certi gesti, ma poi punisce anche parti che la persona forse non sapeva di avere, parti innocenti che magari si scoprono solo quando vengono ammutolite a forza, e recise». Perché il carcere è pena per gesti che non andavano compiuti: ma la persona non è mai tutta in un gesto che compie, buono o cattivo che sia» (Silvia Giacomoni).
Una corrispondenza durata ventisei anni tra un ergastolano e il suo giudice. Non è un romanzo di invenzione, né un saggio sulle carceri, non enuncia teorie, ma si chiede come conciliare la domanda di sicurezza sociale e la detenzione a vita con il dettato costituzionale del valore riabilitativo della pena, senza dimenticare l’attenzione al percorso umano di qualsiasi condannato. Una storia vera, un’opera che scuote e commuove.
Una corrispondenza durata ventisei anni tra un ergastolano e il suo giudice. Nemmeno tra due amanti, ammette l’autore, è pensabile uno scambio di lettere così lungo. Questo non è un romanzo di invenzione, ma una storia vera. Nel 1985 a Torino si celebra un maxi processo alla mafia catanese; il processo dura quasi due anni, tra i condannati all’ergastolo Salvatore, uno dei capi a dispetto della sua giovane età, con il quale il presidente della Corte d’Assise ha stabilito un rapporto di reciproco rispetto e quasi – la parola non sembri inappropriata – di fiducia. Il giorno dopo la sentenza il giudice gli scrive d’impulso e gli manda un libro. Ripensa a quei due anni, risente la voce di Salvatore che gli ricorda: «se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia». Non è pentimento per la condanna inflitta, né solidarietà, ma un gesto di umanità per non abbandonare un uomo che dovrà passare in carcere il resto della sua vita. La legge è stata applicata, ma questo non impedisce al giudice di interrogarsi sul senso della pena. E non astrattamente, ma nel colloquio continuo con un condannato. Ventisei anni trascorsi da Salvatore tra la voglia di emanciparsi attraverso lo studio, i corsi, il lavoro in carcere e momenti di sconforto, soprattutto quando le nuove norme rendono il carcere durissimo con il regime del 41 bis.
La corrispondenza continua, con cadenza regolare – caro presidente, caro Salvatore. Il giudice nel frattempo è stato eletto al CSM, è diventato senatore, è andato in pensione, ma non ha mai cessato di interrogarsi sul problema del carcere e della pena. Anche Salvatore è diventato un’altra persona, da una casa circondariale all’altra lo sconforto si fa disperazione fino a un tentativo di suicidio.
Questo libro non è un saggio sulle carceri, non enuncia teorie, è un’opera che scuote e commuove, che chiede come conciliare la domanda di sicurezza sociale e la detenzione a vita con il dettato costituzionale del valore riabilitativo della pena, senza dimenticare l’attenzione al percorso umano di qualsiasi condannato.
“Oggi, in modo particolare, le nostre società sono chiamate a superare la stigmatizzazione di chi ha commesso un errore poiché, invece di offrire l’aiuto e le risorse adeguate per vivere una vita degna, ci siamo abituati a scartare piuttosto che a considerare gli sforzi che la persona compie per ricambiare l’amore di Dio nella sua vita. Molte volte, uscita dal carcere la persona si deve confrontare con un mondo che le è estraneo, e che inoltre non la riconosce degna di fiducia, giungendo persino ad escluderla dalla possibilità di lavorare per ottenere un sostentamento dignitoso. Impedendo alle persone di recuperare il pieno esercizio della loro dignità, queste restano nuovamente esposte ai pericoli che accompagnano la mancanza di opportunità di sviluppo, in mezzo alla violenza e all’insicurezza”.
Papa Francesco, ai partecipanti al convegno internazionale di pastorale carceraria tenutosi a Roma il 7-8 novembre 2019.
Cf. Osservatore romano – il Settimanale, 14 novembre 2019.
GIUSTIZIA RIPARATIVA
ESTRATTO DA Relazione del ministro della Giustizia CARTABIA
in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario: 19 gennaio 2022
La giustizia riparativa non è uno “strumento di clemenza”.
Né tanto meno esprime un “pensiero debole” in materia
penale.
Al contrario: è uno strumento molto esigente che
chiede al trasgressore di assumersi tutta la sua responsabilità di fronte alla
vittima e di fronte alla comunità, attraverso incontri liberamente concordati,
con l’aiuto di un terzo che favorisce il riconoscimento della verità
dell’accaduto.
Permettetemi di rubarvi ancora un minuto per un
piccolo esempio che ha riguardato la comunità di Sarno, cittadina del
salernitano, che ha vissuto un importante percorso di giustizia riparativa, che
voglio citare tra i tanti già esistenti. L’incendio del bosco vicino alla
cittadina aveva messo in grave pericolo gli abitanti. Rabbia e paura hanno
attraversato la comunità alla scoperta che all’origine del rogo c’era un gesto
sconsiderato di un loro concittadino. Uno dei gravi e numerosi incendi dolosi
che ogni estate depauperano il nostro territorio e mettono in pericolo la
popolazione. Il colpevole ha scontato la sua pena, ma all’uscita dal carcere
come tornare in quella comunità? Un percorso di mediazione ha portato l’autore
del reato e la sua famiglia prima ad incontrare l’amministrazione comunale, poi
l’intera collettività. Incontri in cui gli abitanti hanno raccontato il loro
vissuto, ma hanno anche ascoltato le scuse, cariche di vergogna, di chi aveva
provocato quel drammatico evento. Quell’uomo ha contribuito a ricostruire il
bosco distrutto e con questo gesto ha impresso un nuovo corso alla sua vita,
riaccolto nella sua comunità.
Con la giustizia riparativa l’ordinamento si apre alla
possibilità di un sistema giudiziario in grado di domare la rabbia della
violenza e di ricostruire legami civici tra i cittadini. E più in generale, la
giustizia riparativa contribuisce a coltivare una cultura della ricomposizione
dei conflitti, della ricostruzione dei legami feriti, della ricerca dei punti
di possibile reciproca comprensione, sulla scorta di esperienze straordinarie
che la storia ci ha consegnato – come quella della Commissione verità e
riconciliazione di Nelson Mandela e Desmond Tutu che ha posto fine all’era
dell’Apartheid in sud-Africa – e sulla scorta delle numerose feconde
sperimentazioni che il nostro Paese già conosce.
Questa è la concezione della giustizia che mi sta a
cuore e che ritroverete in filigrana in tutti gli interventi di riforma che qui
ho in sintesi ripercorso. Una giustizia che ricuce e ripara; che non si nutre
di odio, che non cede alla reazione vendicativa, ma che vive innanzitutto di
ricerca di verità.
Questa è la giustizia su cui sono stata chiamata a
riflettere proprio nel luogo della massima ingiustizia che la nostra storia
abbia conosciuto, quel binario 21 della stazione centrale di Milano da cui
partivano i treni per Auschwitz.
In una delle giornate più intense vissute da Ministro,
sono stata invitata dalla senatrice a vita, Liliana Segre, e da lei
accompagnata fino a quei vagoni da cui bambina partì, insieme al padre e a
migliaia di altri ebrei, verso “l’ignota destinazione” del campo di
concentramento. Quelle atrocità di cui oggi tutto il mondo si vergogna – e che
tra qualche giorno ricorderemo nel giorno internazionale della memoria – sono
state alimentate dall’indifferenza, dalle piccole e grandi discriminazioni, dai
discorsi d’odio, dall’idea dell’altro come nemico.
Coltivare una idea della giustizia che sappia
ricomporre i conflitti e preservare i legami personali e sociali, che sappia
unire più che dividere; che tuteli i più fragili e tenda sempre all’interesse
comune è quello che ho inteso perseguire in quest’anno (quasi) di servizio al
Ministero della Giustizia. Nella convinzione che questa è la più grande urgenza
del nostro tempo e che questo è lo spirito che ci trasmette la nostra
Costituzione.
[1] I detenuti presenti in semilibertà sono
compresi nel totale dei detenuti presenti.
[2]
L'internato sconta una misura di sicurezza detentiva, cioè
una pena accessoria che in certi casi si infligge oltre la pena della
reclusione, generalmente quando il condannato è particolarmente pericoloso o il
reato particolarmente: colonia agricola, casa di lavoro e la residenza per
l’esecuzione della misura di sicurezza
Rems).